Esperienza Forum PA 2025. L’intervista a Michele Bertola

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Connect- Italia ETS in attuazione della sua visione strategica e nel suo ruolo di osservatorio attento e critico, ha voluto dare uno sguardo quanto più approfondito su quanto emerso durante i lavori del Forum PA 2025. In particolare ha voluto indagare su “Territori e Comunità”, soggetti chiave nell’ampio dibattito dove protagonista principale è l’intelligenza artificiale , rivolgendoci ad alcune delle protagoniste e protagonisti di questa ultima edizione.
Nell’ambito di tale scenario, abbiamo intervistato  Michele Bertola,  Direttore Generale del Comune di Monza e Presidente Andigel, voce d’eccellenza di molti dibattiti che hanno riguardato le traiettorie evolutive del pubblico impiego nell’era dell’IA, in un contesto di profonde trasformazioni organizzative, tecnologiche e culturali che investono le organizzazioni complesse.
Alla luce di questi confronti e soprattutto della tua importante esperienza nella valorizzazione delle persone, nell’innovazione dei processi e di leadership gentile e motivante, quali sono le leve strategiche fondamentali per la costruzione di organizzazione pubbliche “aumentate”: formazione, reclutamento, attrattività, dirigenza e leadership?
Essenziale è chiederci cosa oggi, e domani, devono fare le pubbliche amministrazioni “aumentate”.
Le PA sono nate, e hanno ancora nel DNA come primo obiettivo approvare norme, regolamenti, deliberazioni. Infatti, selezioniamo e formiamo i nostri operatori su questo aspetto. È un compito che in parte rimane, ma credo che sia sempre meno rilevante e dia sempre meno valore aggiunto alle nostre comunità.
Abbiamo poi attraversato una seconda fase, dagli anni 70 fino a pochi anni fa. È diventata rilevante, l’idea che le amministrazioni non siano solo luoghi che producono norme, ma organizzazioni che producono servizi. Qualche esempio del mondo dei comuni: dagli asili nido alle biblioteche, dalle piste ciclabili ai giardini pubblici, dai centri di aggregazione alla mensa scolastica e molti altri sono servizi che non erano nella sfera di ciò che andava garantito dalle PA ai cittadini. Questa trasformazione ha richiesto di imparare nuovi ruoli, di apprendere nuove competenze.
Però, attenzione, siamo ormai entrati in una terza fase completamente diversa.
Le pubbliche amministrazioni non sono in grado di rispondere alle sfide di oggi se si mantengono in uno schema che immagina una PA locale che raggiunge i propri obiettivi se fa delle norme o se produce servizi.
Dobbiamo diventare una “PA aumentata”. L’obiettivo delle PA è rappresentare una concreta possibilità di connessione, di collaborazione, di motivazione per favorire la proattività dei cittadini. Se non agirà in questo modo, si limiterà a fornire servizi per un numero sempre minore di cittadini, quelli sempre più fragili, o  servizi sempre meno qualificati. Ciò avverrà per un semplicissimo motivo: i soldi non basteranno più!
Le pubbliche amministrazioni dovranno diventare capaci di essere riferimento delle comunità:​ rappresentare la propria comunità, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo, connettere bisogni e risorse, governare le interdipendenze istituzionali, orientare e influenzare le strategie nel territorio.
Per diventarlo, dobbiamo preoccuparci di preparare, motivare e trattenere persone che ne abbiano completa consapevolezza e che sappiano individuare le risorse e gli strumenti necessari. A questo punto viene spontaneo dire che le leve fondamentali sono (nell’ordine): persone, relazioni, tecnologie.
Un’altra domanda ci sta particolarmente a cuore e riguarda “i giovani e l’attrattività delle PA”. Era nell’aria, ma è emersa forte e chiara durante l’analisi di scenario dedicata, che nelle PA si deve far fronte ad una nuova sfida, quella di attrarre i giovani. E’ cosi?
Fortunatamente direi, tra i giovani la PA non è più ambita come luogo sicuro, dove posto e stipendi sono garantiti. Fortunatamente i valori perseguiti sono altri. Ma anche qui gioie e dolori: i giovani vedono sì le PA come luoghi dove il proprio lavoro ha un impatto diretto sulla collettività, dall’altro non sono ancora percepite come luoghi di lavoro interessanti e innovativi, e dove le sfide dell’IA non rientrano nelle opportunità di ammodernamento offerte.
Seguendo ANDIGEL  abbiamo l’evidenza di sperimentazioni di successo. Ci aiuti a comprendere le motivazioni e quali, nella Tua esperienza le principali leve attrattive?
Per diventare attrattivi nei confronti di giovani che si affacciano al mondo del lavoro occorre:
  • farsi conoscere: la maggior parte dei giovani non sa cosa fanno le PA e quali sono le molteplici attività e servizi che forniscono alla collettività; 
  • utilizzare nuovi strumenti e canali di comunicazione: campagne di comunicazione off line e on line, partecipazione a career day, video, testimonial, piattaforme social. La sola pubblicazione sui siti istituzionali e portale InPA dei classici bandi di concorso non è più efficace. 
Per esempio, il Comune di Monza ha iniziato a lavorare sulle proprie strategie di employer branding per agire sull’attrattività delle proposte di lavoro e per condividere i valori portanti dell’organizzazione anche con le persone che lavorano nell’ente.
Il primo passo è stato la definizione di una campagna di comunicazione, utilizzata in occasione del career day-proud to be good organizzato da Università Bicocca. Si è partiti dalla definizione del EVP (Employer Value Proposition), ovvero l’insieme dei valori e delle iniziative che il Comune di Monza intende mettere in atto per soddisfare le aspettative e le necessità dei propri dipendenti, rendendo il luogo di lavoro un ambiente positivo.
Da qui è nato lo slogan «Abbiamo molto in comune. Noi siamo il Comune di Monza» ideato per invitare e stimolare le nuove generazioni a entrare a far parte di una squadra di professionisti legati da passioni condivise e dalla volontà di porsi al servizio della cittadinanza.
L’insieme di queste attività è rappresentata, anche graficamente, in ogni occasione di comunicazione con la cittadinanza, con le scuole e con le imprese. Vede sempre coinvolti i lavoratori del Comune che rappresentano i primi testimonial in grado di veicolare il reale portata valore del lavoro nelle PA.
In percorso innovativo intrapreso dalla PA e annunciato in occasione del Forum PA dalla Funzione Pubblica, a tuo avviso va nella giusta direzione?
Riconosco che i percorsi che sta intraprendendo la Funzione Pubblica partono da una corretta analisi e anche da una corretta idea dei risultati che si devono ottenere. C’è però un problema di fondo: per dare attuazione a queste idee si utilizzano gli strumenti antichi. Questo compromette in maniera irrimediabile il raggiungimento del risultato.
Le pubbliche amministrazioni dovranno diventare capaci di essere riferimento delle comunità:​ rappresentare la propria comunità, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo connettere bisogni e risorse, governare le interdipendenze istituzionali, orientare e influenzare le strategie nel territorio.
Imparare a farlo,  richiede una completa rivoluzione nel modo di formarsi! Trovo molti riferimenti coerenti nella recente direttiva sulla formazione. C’è infatti la sottolineatura sull’importanza di formarsi ad acquisire le soft-skill, le nuove competenze. Solo a titolo esemplificativo possiamo citare la resilienza, la responsabilità, la motivazione propria e dei collaboratori, l’empatia, la capacità comunicativa, la capacità di autocritica, la resistenza allo stress, la gestione dei nuovi media…
C’è però un forte limite nelle proposte del Dipartimento Funzione pubblica: per attuare questi nuovi percorsi vengono proposti un metodo ed una cornice antica. La formazione viene proposta come un adempimento da attuare segnalando le “sanzioni” che il mancato rispetto dell’obbligo causa: tutta la prima parte della “direttiva” sulla formazione va decisamente in questa direzione!
Se vogliamo formare alle soft skill non servono più le norme, anzi, le norme vanno diminuite.
Ma se siamo stati selezionati e costantemente formati a conoscere le norme, a produrle come risposta agli obiettivi che ci vengono indicati, rischiamo di continuare a sfornarne anche per risolvere problemi del tutto diversi. Anche se ormai sappiamo che la norma non è efficace, siccome siamo preparati a fare solo quello, tendiamo a produrre quello.
C’è un detto americano di Maslow che dice: “se l’unica cosa che hai è un martello inizierai a trattare tutto come fosse un chiodo”.
Qualunque nuovo problema o bisogno che individuiamo, noi sappiamo produrre norme e quello continuiamo a fare.
Mi chiedo inoltre se approcciare le nuove competenze che ci necessitano sia solo una questione di “tecniche” da apprendere. Quindi a maggiore ragione non vanno utilizzate metodologie adatte solo ad “addestrare”. L’utilizzo di webinar, di sistemi mnemonici di valutazione dell’apprendimento non mi sembrano utili. Se poi questo diventa addirittura una specie di “olimpiade”, le potenzialità di formare alle soft skill mi sembrano vanificate.
Non abbiamo lasciato per ultimo il tema “Dirigenti fuori dal comune” a caso.  Crediamo fortemente che il tema della “leadership gentile e motivazionale” sia un driver fondamentale per tutte le organizzazioni, in primis per le PA. Essere dirigenti fuori dal comune a nostro avviso va esattamente in questa direzione.
Qual è il suo punto di vista rispetto ad una nuova definizione di leadership, quella appunto dei “Dirigenti fuori dal comune” ma qualche pillola rispetto al cambiamento necessario?
Quando mi hai proposto questa domanda sono andato un po’ in crisi perché è molti anni che ci riflettiamo.
Poi mi è successa una cosa strana. Da qualche mese godo di un grande privilegio. Per la prima volta nella mia vita vado a lavorare a piedi perché dirigo il comune della città dove abito fin da bambino.
Prima ne ho diretti altri cinque in città dove non abitavo. E mentre mi arrovellavo nel ragionare su questa domanda, è passato Alfredo. Chi è Alfredo? Alfredo è un papà che vedo tutte le mattine mentre accompagna a scuola le sue bambine. Le sue due figlie avranno nove dieci anni.
Normalmente Alfredo è in orario, molto ordinato. Cammina davanti alle sue figlie, le quali hanno il loro zainetto in spalla. Va con passo deciso. Sa dove deve andare. Ogni tanto lancia uno sguardo indietro per vedere se le bambine lo seguono
Ma quella mattina Alfredo era in ritardo. Era un imprevisto, un cambio di scenario. E quella mattina Alfredo ha fatto una cosa straordinaria. Si è messo dietro le figlie, ha preso lo zaino delle figlie. Da lì le incoraggiava ad andare avanti spedite. E queste figlie, che nelle altre mattine doveva continuare richiamare perché tenessero il passo, hanno cominciato a camminare più veloce, al punto che Alfredo era quasi in affanno a stare loro dietro. E le bimbe sono arrivate in orario a scuola.
Allora se mi chiedo come deve essere il dirigente del futuro, rispondo che dev’essere come Alfredo.
Noi fino a oggi abbiamo immaginato che il dirigente è quello che sta davanti, che sa dove andare. Doveva gestire solo il problema di guardare che quelli dietro seguivano, magari senza nemmeno notare che avevano un peso sulle spalle che in quel momento era eccessivo e impediva loro di tenere il passo. Magari dava per scontato che la direzione fosse quella giusta. Qualche volta, addirittura, girandosi indietro, rischiava persino di inciampare o di sbagliare strada.
E invece io credo che il dirigente del futuro debba essere come Alfredo: mettersi dietro a sostenere i collaboratori, portando per qualche tratto i loro pesi, senza perdere di vista il traguardo, prevenendo i pericoli che possono incontrare. Queste sono le caratteristiche che dobbiamo avere.
Poi quella mattina, andando in ufficio, ma è successa un’altra cosa straordinaria: è venuta da me Elena, una delle dirigenti, e mi ha detto una cosa che un dirigente che non avevo mai sentito da tutti coloro che ho coordinato, più di centoventi nei vari comuni.
Elena mi ha detto: “Direttore, sono in difficoltà. Non riesco a rapportarmi adeguatamente con l’assessore. Ho bisogno di aiuto per capire come devo fare.” Anche dirigenti in passato sono venuti da me con questo tema. Sono entrati nel mio ufficio dicendo: “Direttore, c’è un problema. L’assessore è troppo invadente”, oppure “l’assessore non è in grado di esprimere un adeguato indirizzo politico”, oppure, in maniera più brutale: “L’assessore non capisce niente!”
Questo episodio e le parole di Elena mi hanno fatto intuire la seconda caratteristica che abbiamo bisogno. Noi dobbiamo trasformare il nostro modello di leadership. Noi abbiamo in mente tutti un modello maledettamente maschile della dirigenza.
Quel modello maschile che qualche anno fa era ben rappresentato da una pubblicità di un deodorante che aveva come slogan “Per l’uomo non deve chiedere mai!”.
Noi invece abbiamo bisogno di una leadership diversa. Mi viene da dire una leadership della “umiltà”, della “delicatezza” o persino della “vulnerabilità”. Una leadership che non ha paura di mettersi in discussione, che accetta, anzi, cerca qualcuno che le indichi dove può sbagliare, e come può migliorare. Che non abbia paura del parere dei propri collaboratori, che, cosciente della fatica del cambiamento, accetti di cominciare da sé stesso.
Credo che, davvero, dobbiamo con coraggio dirci che bisogna cambiare il modello e diventare un po’ più “persone”, un po’ meno “ruoli”. Dobbiamo cambiare abito, cambiare punto di vista.
Questo è ciò che serve per essere un vero dirigente nelle pubbliche amministrazioni
Queste sono le intuizioni su cui, come ANDIGEL abbiamo costruito l’iniziativa Dirigenti fuori dal comune, disponibile al seguente link di approfondimento: